Concept art – La progettazione visiva degli interni
Posso asserire che i concept di Vajont sono cresciuti di pari passo con la maturazione dell’idea generale dell’opera stessa. Poiché i character del pezzo sono ispirati a...
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Posso asserire che i concept di Vajont sono cresciuti di pari passo con la maturazione dell’idea generale dell’opera stessa. Poiché i character del pezzo sono ispirati a...
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Posso asserire che i concept di Vajont sono cresciuti di pari passo con la maturazione dell’idea generale dell’opera stessa. Poiché i character del pezzo sono ispirati a personaggi realmente esistenti, il mio processo di ricerca visiva si è maggiormente concentrato sulle ambientazioni – interne ed esterne.
La progettazione visiva degli interni si è sviluppata quasi contemporaneamente alla creazione dello script. E così, man mano che l’idea e la visione generale di Iolanda si rafforzavano e progredivano, ho sentito cambiare l’obiettivo di quanto mi veniva richiesto – dall’essere di ispirazione per la regista al dettare istruzioni ai modellatori sulla realizzazione del livello ‘di gioco’.
Trattandosi di un’opera individuata all’interno di un preciso contesto storico, la mia base di partenza è stata ricreare un’ambientazione che fosse quanto più coerente possibile con l’epoca e con la zona geografica previste dalla narrazione. L’Italia è costituita da così tante micro-identità territoriali differenti che era per noi davvero importante – almeno, in un primo momento – poter descrivere il luogo attraverso un unico colpo d’occhio, comunicando attraverso mobili e suppellettili il dove ed il quando.
Il nostro focus iniziale – di Iolanda in primis, e mio di riflesso – era la riproduzione di uno spazio che fosse quanto più fedele ad una casa di estrazione sociale medio-bassa, ma non per questo inospitale.
Ho effettuato ricerche approfondite dello stile delle case dell’epoca, dei mobili, degli oggetti presenti in scena, in un processo che nella concept art è importante quasi quanto la progettazione grafica in sé: la ricerca delle references.
Normalmente, la produzione di un’esperienza multimediale – dal cinema al VR – prevede un processo di riscrittura dell’idea iniziale e della sceneggiatura per migliorare complessivamente il prodotto. Le versioni successive dello script tengono conto di tutti quegli aspetti problematici emersi nel corso della prima bozza: da quelli pratici – come ad esempio la ridefinizione di una scena affinché l’impatto sul budget sia minore – a quelli narrativi. Questo processo porta con sé anche un’idea di evoluzione della visione del regista.
Abbiamo dunque compreso che un’ambientazione capace di ricreare fedelmente il Nord negli anni Sessanta non era abbastanza. Che quello che avremmo dovuto cercare era altrove: non avevamo bisogno di un’asettica simulazione di una passata realtà, ma di una personificazione della stessa. Capace di rivolgersi non solo ad un pubblico italiano, ma internazionale.
C’era dunque bisogno di un processo di ampliamento dell’idea iniziale, e conseguente simbolizzazione. Occorreva creare una cucina che fosse in grado di rispettare quella micro-identità territoriale, e contemporaneamente sintetizzarla, affinché un’idea di Italia potesse essere richiamata anche nella percezione dei non autoctoni.
Ma non solo.
Nel processo di riscrittura, era emerso un altro aspetto fondamentale, fino a quel momento sopito o non adeguatamente considerato. Affinché l’esperienza avesse un reale impatto emotivo sul partecipante, occorreva costruire una relazione tra l’ambiente ed i personaggi. In poche parole, occorreva trasformare una casa ‘qualunque’ nella casa di due persone specifiche, con un quotidiano e delle passioni.
Così, ho realizzato uno studio dettagliato dei mobili e degli oggetti da inserire nell’ambiente. In altre parole, ho ricominciato il mio processo di ricerca references. Mi sono lasciato ispirare dalle scenografie dei film italiani realizzati negli anni Sessanta – così come ho studiato in che modo i film attuali rappresentano gli anni Sessanta – e dalle foto famigliari che ho reperito su web.
Il processo di ricerca non è stato semplicissimo: all’epoca erano in pochi a possedere ed a saper usare una macchina fotografica. La stragrande maggioranza delle immagini del tempo è costituita da matrimoni e cresime.
Sono poi passato a comprendere quali mobili inserire all’interno dell’ambiente. Molti erano necessari ai fini della sceneggiatura – altri non lo erano. Così, ho dato libero sfogo alla mia immaginazione nell’individuare la tipologia di scolapiatti, la tipologia di lavello, di credenza per dare all’ambiente un aspetto vissuto. Prevalentemente, mi sono basato sulle riviste dell’epoca e sui siti di vendita di oggetti usati.
‘Vajont’ è ambientato all’interno di uno spazio che è a metà tra una cucina ed un soggiorno, in un luogo che richiamasse un’idea di ‘focolare’ e di calore famigliare.
Poiché le dimensioni della stanza in VR ricalcano precisamente la massima superficie trackabile dalle lighthouse del Vive – l’headset che abbiamo scelto di utilizzare -, ho deciso di utilizzare due diverse fasce di colori sulle pareti – affinché esse ‘allargassero’ la percezione dello spazio e facessero risultare il tutto ‘non troppo piatto’.
Ho deciso inoltre di definire l’ambiente collocando la cucina – ed i relativi oggetti – su una parete; viceversa, la parete opposta è stata destinata ad accogliere gli elementi tipici del salotto, come la credenza, la radio, l’appendiabiti. Al centro, il tavolo da pranzo come elemento spartiacque. Non solo: ho assegnato ciascuna parete ad un personaggio. La zona-cucina è dunque diventata lo specchio della moglie – luogo delle sue passioni, dei suoi gusti, della sua visione – così come quella opposta è diventata sede dell’identità del marito.
Ho lavorato molto sulla gestione dei pieni e dei vuoti, affinché il bilanciamento tra gli oggetti non soffocasse la percezione, né avesse troppo respiro.
In ultimo, ho incluso nei miei concept alcuni piccoli accorgimenti di usabilità – come ad esempio ridurre la dimensione della finestra non interagibile, per disincentivare le persone dal tentare di aprirla.
Il passaggio successivo è stato quello di identificare una palette colori generale, capace di ‘funzionare’ con le diverse condizioni di luce previste dalla sceneggiatura. Per cui, ho iniziato individuando differenti tipologie di schemi cromatici (colori analoghi, complementari, triadi), proponendo un ventaglio di ipotesi differenziato.
Per concludere, ho sottoposto ogni studio di colore alle tre condizioni di luce previste all’interno della sceneggiatura – tramonto, notte, luce artificiale. Nell’immagine sottostante è possibile quattro diverse palette sottoposte a due distinte condizioni di illuminazione.