Texturing dell’environment – Interni e props
Una volta ricevuti gli asset 3d realizzati da Yuri ed i concept effettuati da Thomas, mi sono messa all’opera sul texturing degli interni. Nonostante avessi un’idea...
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Una volta ricevuti gli asset 3d realizzati da Yuri ed i concept effettuati da Thomas, mi sono messa all’opera sul texturing degli interni. Nonostante avessi un’idea...
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Una volta ricevuti gli asset 3d realizzati da Yuri ed i concept effettuati da Thomas, mi sono messa all’opera sul texturing degli interni.
Nonostante avessi un’idea abbastanza precisa di come procedere – avevo un’indicazione molto chiara sui colori e sullo stile dell’ambiente, che doveva richiamare un’idea di passato, di umile e contemporaneamente di curato, di ‘fatto a mano’ – ho deciso di realizzare uno studio approfondito sui principali materiali che compongono la stanza.
Come avrete modo di capire, con il mio processo di lavoro sono partita dal generale – pavimento e pareti – per poi concentrarmi sugli oggetti di media grandezza – il mobilio – per terminare con i dettagli più piccoli: l’oggettistica.
Ho prestato parecchia attenzione al pavimento, alle pareti ed al soffitto, ed al modo in cui questi tre elementi interagivano tra loro. Chi ha alle spalle studi visivi relativi al cinema (scenografia o direzione della fotografia) non avrà difficoltà ad individuare il perché: la percezione del mood generale di un’ambiente è in larga parte determinata dai colori dominanti.
Certo, la luce e lo stile di illuminazione hanno la loro importanza: ma così come avviene nella realtà, in cui i colori principali tingono la luce, anche in Unity la global illumination viene influenzata dalle tinte in scena.
Iolanda – la regista – aveva immaginato e richiesto per Vajont un’illuminazione morbida ed avvolgente; per cui ho deciso di procedere ricercando delle tinte e dei materiali neutri, capaci di trasmettere una certa armonia se accostati assieme.
Per quanto riguarda le pareti, volevamo trasmettere l’idea di una casa che rappresentasse il frutto della cura e dell’amore di una coppia. Ad esempio, abbiamo immaginato che la tintura delle pareti fosse stata realizzata in modo casalingo, e che corrispondesse ad una sorta di “ammodernamento dell’abitazione” fai-da-te.
Ho texturizzato le pareti della stanza ricreando delle pennellate dal bordo non troppo netto, che ricordassero l’opera di una persona non troppo esperta. Ho agito sulla mappa di normal per ricreare lo spessore e la finitura ruvida dell’intonaco.
Sono dunque passata a definire colori e dettaglio della zona cucina – altro punto focale dello sguardo – determinando l’armonia di colori tra lavabo, credenza e stufa economica.
Per il texturing dei piccoli oggetti mi sono basata sulle reference raccolte da Thomas. Anche in questo caso, ho cercato di lavorare su quei microdettagli che rendono un oggetto vissuto e credibile: i graffi sul tavolo, i segni sul fondo delle pentole, piccole macchie di usura qui e là…
In queste immagini potete notare le diverse reference da cui ho preso spunto per il texturing di alcuni oggetti di scena.
Ho deciso di aggiungere questa breve nota per quelli di voi che hanno un interesse più tecnico verso la disciplina, così da evidenziare le differenze di workflow tra il texturing per i motori di render online ed i motori di render offline.
Questo blog ha già trattato la differenze tra le due tipologie di motori di render, dunque non mi dilungherò oltre sull’argomento: vi invito a dare un’occhiata all’articolo sulla realizzazione dei capelli in VR ed a quello relativo al rigging dei character, qualora voleste approfondire.
Mi limiterò unicamente a ribadire la necessità di ottimizzare il progetto per evitare il fenomeno del dropdown di framerate: un brusco calo di fps che influenza la godibilità e la percezione dell’esperienza. Come saprete, per avere una percezione fluida dei videogiochi in genere (e delle esperienze VR in particolar modo!) è necessario che il numero di frame renderizzati in un secondo sia abbastanza costante; il framerate varia per ciascun device utilizzato, ma normalmente, si aggira intorno ai 90fps (frame-per-second). Ciò, nella Realtà Virtuale, è particolarmente importante al fine di evitare fenomeni di sickness.
E così, come il modellatore decima il numero di poligoni di ciascuna mesh, un texture artist compatta le UV.
Possiamo immaginare le UV come una sorta di “cartamodello” di un vestito: una versione bidimensionale di una mesh in tre dimensioni. Ed è proprio sulle UV – attraverso specifiche mappe – che viene realizzata (e successivamente applicata) la texture.
Le lettere “U” e “V” indicano i due assi (x,y) su cui le texture si sviluppano; questa nomenclatura è stata adottata poiché le lettere X ed Y (assieme a Z) vengono normalmente utilizzate per individuare la posizione di un oggetto all’interno dello spazio tridimensionale.
Le UV occupano un’unità di spazio di forma quadrata che prende il nome di UDIM (abbreviazione di U-Dimension).
Nel workflow proprio dei motori di render offline, normalmente ciascun oggetto 3D occupa una UDIM. Va da sé che questa scelta implica ottimi dettagli e resa visiva delle mappe, implicando però un aumento dei tempi di rendering.
Nei motori di render online, come già accennato, le UV di ciascun oggetto vengono compattate ad altre: utilizzando un gergo più specifico, si dice che viene realizzato un apposito layout delle UV. Questo vuol dire che una stessa UDIM può ospitare diversi oggetti, che vengono normalmente associati in base alle loro proprietà fisiche (levigatezza, riflettanza, trasparenza).
Nell’immagine sottostante potete vedere il layout che ho realizzato per le UV della piattaia e degli oggetti in esso contenuta, nelle due mappe di albedo e di normal.
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